L’ALBA DI UN NUOVO CLASSICISMO
25 February 2023
25 June 2023
25 February 2023
25 June 2023
Though Pierre-Auguste Renoir (1841–1919) is famous mainly for being one of the leading exponents of Impressionism, this phase in his career was actually rather brief. A trip to Italy sparked a creative revolution that led him to look to the past to paint in a powerful Neo-Renaissance style, developing a “modern Classicism” that heralded the “return to order” that would characterise art between the two world wars. The exhibition centres on this second phase in his career, placing his works face to face with others by Italian artists such as Marino Marini, Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis and many more.
Renoir’s (1841–1919) trip to Italy in 1881 and 1882 proved to be a turning point in his career. After Carpaccio and Tiepolo’s Venice, an all-important destination was Rome, where Renoir was overwhelmed by the intensity of the Mediterranean light and developed a passion for the Renaissance masters (Raphael above all). Before ending in Palermo, his tour led him to the Gulf of Naples: here, Renoir discovered the wall paintings at Pompeii and was mesmerised by the masterpieces of ancient art on display at the archaeological museum. These experiences heralded a creative revolution culminating in the artist’s abandonment of the Impressionist technique and poetics. Impervious to the prevailing trends, Renoir looked to the past to develop a Neo-Renaissance style of painting that many saw, superficially, as a decline after the Impressionist grandeur. Instead, as revealed by the title of this exhibition, it was the dawn of a new Classicism.
Pierre-Auguste Renoir, Paysage de Cagnes, 1905-1908
Certo, è vero che all’inizio del suo percorso creativo fu tra i fondatori di quella corrente artistica, ma è anche vero che ben presto se ne allontanò per seguire una strada tutta sua. La seconda impressione errata è che quella strada, diretta com’era verso un passato classico, fosse il viale del tramonto di un artista che non aveva più niente da dire.
Le opere di questa mostra dimostrano invece che quella strada andava indietro solo in apparenza, mentre in realtà conduceva in avanti. E non fu solo una strada metaforica ma reale, fatta di ghiaia, polvere e sassi, che Renoir percorse sulle orme di tanti artisti che, un secolo prima, lo avevano preceduto: era la strada del grand tour, e portava in un luogo senza il quale l’arte e la cultura del mondo non esisterebbero come li conosciamo: l’Italia.
Pierre-Auguste Renoir, Après le bain, 1876
Ancora un’impressione, ancora errata. Le opere in mostra, infatti, risalenti alla fase matura e finale della sua carriera, pacate, sontuose e spesso monumentali, rivelano l’esatto contrario: col suo guardare al passato, Renoir si sarebbe rivelato un anticipatore del futuro.
Un precursore sia degli sviluppi successivi dell’arte del Novecento (ad esempio del ‘ritorno all’ordine’ che sarebbe esploso verso la fine degli anni dieci in reazione alle avanguardie) sia di quella ‘moderna classicità’ che sarebbe stata perseguita da molti pittori e scultori degli anni dieci, venti e trenta, soprattutto in Italia. Non un artista al tramonto, bensì quello da cui si irradiò il primo raggio di luce che anticipava, come sottolinea il titolo della mostra, l’alba di un nuovo classicismo.
Pierre-Auguste Renoir, Le Moulin de la Galette (studio), 1875-1876
Gli Impressionisti dipingevano in un modo che aspirava a riprodurre l’aspetto mutevole delle cose, l’impressione, appunto, prodotta sull’occhio dalla realtà fenomenica: non c’erano né impegno sociale e politico, né l’intento di comunicare particolari contenuti.
A questa prima fase della produzione di Renoir appartengono capolavori come Après le bain e Le Moulin de la Galette, nei quali l’artista si concentra soprattutto su due aspetti: il primo riguarda gli effetti della luce, ottenuti grazie all’uso del colore, evitando i toni scuri e sovrapponendo macchie di pigmento; il secondo è l’impressione di moto vorticoso della folla brulicante, data dal ricorso a linee oblique e mosse delle figure.
Giuseppe De Nittis, L’amaca, 1884
Dei primi fanno senz’altro parte quelli presenti a Parigi durante la breve parabola dell’Impressionismo, come il romagnolo Giovanni Boldini; Giuseppe De Nittis, molto vicino per temi, tecnica e atmosfera alla nuova corrente; Federico Zandomeneghi, interprete sensibile di soggetti femminili, che si lega in particolare a Renoir e a Edgar Degas e, dal 1879, partecipa anche alle mostre del gruppo.
Fa invece storia a sé Medardo Rosso, che, arrivato a Parigi nel 1889, dà vita a uno stile scultoreo di originalità straordinaria che, con i suoi contorni sfaldati, sembra quasi evocare l’apparizione delle figure portando molti a considerarlo il più aderente corrispettivo plastico della
pittura degli Impressionisti.
Pierre-Auguste Renoir, La baigneuse blonde, 1882
Fu però il centro-sud a lasciare un segno profondo dentro di lui: se a Roma venne travolto dalla forza della luce mediterranea e dall’ammirazione per i maestri rinascimentali, a Napoli scoprì le pitture pompeiane e i capolavori antichi esposti al museo archeologico. Dopo un breve passaggio in Calabria, il viaggio si concluse a Palermo nel 1882, ma la sua eco continuò a vibrare nell’animo di Renoir, dando inizio a una rivoluzione creativa che lo avrebbe portato ad abbandonare per sempre sia la tecnica che la poetica impressioniste.
Tali effetti si notano già in un’opera del 1882, La baigneuse blonde, dove la modella Aline Charigot, sua futura moglie, è ritratta come una Venere, mentre i chiaroscuri sono frutto della scoperta da parte di Renoir dell’arte antica e degli affreschi di Raffaello alla Villa Farnesina di Roma. Le linee diventano più nette, i contorni definiti, le forme plastiche. Riprendendo anche la lezione di Jean-Auguste-Dominique Ingres, per il quale ha grande ammirazione, il pittore recupera un tratto nitido e un’attenzione alle volumetrie e alla monumentalità delle figure, creando una sintesi che evidenzia
la sua personale accezione di classicismo.
Pierre-Auguste Renoir, Portrait de Richard Wagner, 1900
I due si
incontrarono: cordiale ma piuttosto freddo,
il musicista accettò di posare per un ritratto
ma non si concedette che per poco più di
mezz’ora. Il risultato fu un’opera che non
idealizza eroicamente il sogg etto e a Wagner
probabilmente non piacque, visto che la
descrisse così: “Sembra un embrione d’angelo
ingoiato da un epicureo che lo ha scambiato
per un’ostrica”.
Cennino Cennini, Le Livre de l’Art ou Traité de la Peinture, 1940, lettera introduttiva di Pierre-
Auguste Renoir
Sarà lo spunto per compiere sperimentazioni con i colori, i leganti, i pennelli e per ragionare sulla tecnica pittorica. Quello che Giorgio de Chirico, parlando di sé, definirà “ritorno al mestiere”, per Renoir è un’ulteriore tappa di allontanamento dalla poetica impressionista.
Pierre-Auguste Renoir, Femme s’essuyant, 1912-1914
Quella che a molti
sembrò un’involuzione si rivelerà invece
una premonizione, anticipatrice di una
sensibilità che si sarebbe diffusa tra le due
guerre col nome di “ritorno all’ordine”.
È davvero un altro Renoir rispetto a quello
più noto e riduttivamente associato alla
breve stagione impressionista: armonioso,
legato alla tradizione eppure moderno.
Una lezione che in Italia sarà assimilata
sia da pittori (si veda il caso di de Chirico),
sia da scultori, come Marino Marini, Arturo
Martini ed
Eros Pellini.
Pierre-Auguste Renoir, Nu au fauteuil, 1900
Ma è nella Femme s’essuyant (1912-1914) che la moderna classicità di Renoir appare evidente e riassume, col suo guardare a Rubens mentre tutt’attorno si scatenano le avanguardie, gli elementi del ‘nuovo ordine’ al quale, negli anni successivi, si sarebbero richiamati molti artisti. Tra gli italiani, in primis Giorgio de Chirico, che nella sua produzione dei primi anni trenta rende un omaggio esplicito al maestro francese, ma anche, meno scontato, Ferruccio Ferrazzi.
Pierre-Auguste Renoir, Mythologie, personnages de tragédie antique, 1895
Mythologie, personnages de tragédie antique, in cui personaggi della tragedia antica si dispongono sulla superficie come palinsesti di una pittura murale pompeiana.
Pierre-Auguste Renoir, Maisons de village,
toits rouges (Essoyes), 1, 1905
Benché fosse uno dei soggetti più difficili da rendere sulla tela, la possibilità di dipingere all’aria aperta lo rendeva felice trasmettendo gioia alla sua pennellata: in Antibes o Jeune fille et enfant dans un cadre champêtre (1900 circa) e in Jeune fille en rose dans un paysage (1903 circa) sembra di ravvisare un’eco delle scene bucoliche di Camille Corot.
Le opere esposte coprono un arco cronologico che va dal 1892 (con La Seine à Argenteuil, omaggio a un luogo di ormai lontane ascendenze impressioniste) al 1913 circa. Salvo che per quell’unico richiamo alla Senna, e dunque ai dintorni di Parigi, si tratta di vedute realizzate nel sud della Francia, in particolare a Cagnes-sur-Mer, dove Renoir dimorò negli ultimi anni della sua vita, innamorato della luce del Midi come già gli era successo anni prima con quella dell’Italia.
Pierre-Auguste Renoir, Roses dans un vase, 1900
“Dipingere fiori riposa il mio cervello”, ebbe a dire, “non mi costa lo stesso sforzo intellettuale di quando ho davanti una modella.
Quando dipingo fiori, pongo sulla tela toni di colore, sperimento audaci valori, senza preoccuparmi di sprecare una tela. Con una figura umana non oserei tanto”.
La citazione aiuta a comprendere lo spirito col quale si era riavvicinato al tema, ma forse risulta un po’ riduttiva se si osserva un dipinto come Roses dans un vase (1900), dove la bellezza carnosa della pennellata costruisce le forme e dà loro corpo e plasticità.
È interessante qui mettere a confronto le nature morte di Renoir con quelle di tre artisti italiani, come Filippo de Pisis, che all’inizio degli anni trenta matura una sorta di ‘stenografia pittorica’ giocata su pennellate nervose, intersecantesi in un intrico di segni ariosi su fondi chiari; il lombardo Arturo Tosi, con il suo intimismo naturalistico; e il ligure Enrico Paulucci, che nel pieno degli anni trenta guardava ai grandi francesi della generazione precedente anche in contrapposizione all’atteggiamento di chiusura nazionalistica che aveva ormai assunto molta arte italiana del tempo.
Pierre-Auguste Renoir, Tête d’enfant
(Portrait de fillette), s.d.
I suoi ritratti, soprattutto nell’ultima fase della carriera, più che psicologici sono un’esaltazione ammirata della bellezza, al punto che i volti risultano quasi inespressivi. Ne è un esempio il ritratto della collezionista Adèle Besson, dove la mancanza di precisione è compensata dalla forza cromatica e dalla capacità di coagulare la figura della donna con lo sfondo indefinito, spogliandola di ogni status sociale fino a renderla ‘natura pura’.
E continuando nel gioco dei confronti con l’Italia, una traccia dell’inespressività atemporale dei volti delle donne di Renoir si può ritrovare, ad esempio, negli occhi realizzati in pasta vitrea di Giuliana (1942), bronzo di Antonietta Raphaël Mafai.
Pierre-Auguste Renoir, Gabrielle, 1910
I vent’anni che Gabrielle passerà in famiglia saranno per Renoir anni felici: nonostante il peggioramento delle sue condizioni di salute, l’affetto dei suoi cari sarà per lui una costante fonte di gioia e armonia. Molti sono i dipinti e i disegni che raffigurano Jean e Gabrielle, e non manca nemmeno il primogenito Pierre:
tra questi meritano una segnalazione il quasi sconosciuto Portrait de Gabrielle e il disegno a sanguigna Jean Renoir dans les bras de Gabrielle, colmo di grazia e poesia, un esempio di sapiente equilibrio, di misura veramente classica, tra morbidezza e linearismo ingresiano. Ma il capolavoro è la Gabrielle del Petit Palais di Ginevra, summa dei canoni del ritratto femminile renoiriano.
Pierre-Auguste Renoir, Le chapeau épinglé, 1894 (?)
Un ruolo non indifferente nella sua produzione di incisore ebbero l’esperienza e la bravura del suo stampatore, Auguste Clot, che inventò la tecnica del papier à report, che gli consentiva di lavorare sulla carta invece che sulla pietra, eliminando il problema della grana calcarea: Le chapeau épinglé ne è uno dei risultati più elaborati.
Eppure, reso merito alla maestria di Clot, le acqueforti eseguite direttamente da Renoir una volta presa dimestichezza con i processi di stampa giustificheranno il giudizio di Henri Loÿs Delteil, che parlò di una “grazia innata, di un’innocenza e freschezza che appartengono soltanto a lui”.