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4 ottobre 2025
1 febbraio 2026
Lun.-ven. 09.00 – 19.00
Sab. dom. festivi 09.00 – 20.00
0425 460093
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Lasciati accompagnare alla scoperta di un percorso straordinario che attraversa i capolavori di quattro secoli, nella collezione più prestigiosa della città. Un viaggio affascinante e ricco di suggestioni alla scoperta di alcuni dei momenti in cui l’arte italiana ha raggiunto la sua massima bellezza.
Dal Gotico a Giovanni Bellini, dal Cinquecento veneto alla teatralità del Seicento ai più importanti pittori veneziani del Settecento. Le sale di Palazzo Roverella ospitano una rassegna di dipinti capace di offrire un panorama quasi da manuale di storia dell’arte. Un percorso straordinario che attraversa i capolavori di sette secoli, nella collezione più prestigiosa della città. Tutto questo grazie alla passione per la pittura di alcune nobili famiglie rodigine che, con le loro donazioni, ci permettono oggi di ammirare una raccolta unica che racchiude alcuni capolavori dei più grandi maestri della pittura italiana come Giovanni Bellini, Palma il Vecchio, Luca Giordano, Giambattista Piazzetta e Giambattista Tiepolo, fino alle opere del primo ventennio del Novecento del grande artista di origine rodigina Mario Cavaglieri, che ci introducono ad un mondo sofisticato, sensuale e decadente che richiama atmosfere dannunziane.
Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio
“Madonna con il Bambino tra i Santi Gerolamo ed Elena”, olio su tavola
Di Giovanni Bellini, massimo maestro veneziano del Quattrocento, qui potete ammirare due tavole a soggetto sacro, l’una del periodo giovanile, l’altra riferita alla tarda maturità dell’artista.
La Madonna con il Bambino, oltre a presentare alcune derivazioni mantegnesche (Mantegna era il genero di Giovanni Bellini), cela un complesso significato iconografico che ha il suo fulcro simbolico nel parapetto in marmo, equivalente metaforico della tomba sepolcrale (a cui il prediletto da Dio è già predestinato)
Simboli di Passione e Redenzione sono spesso presenti nelle Madonne belliniane, come nella Madonna con il Bambino di Pasqualino Veneto, dove Maria regge un libro in cui è già scritto il destino del figlio.
Di tutt’altra ispirazione è il Cristo portacroce (sempre di Giovanni Bellini), talora ritenuto dell’allievo Giorgione, dal quale l’anziano maestro riprende la fusione cromatica e tonale dell’impasto pittorico, rendendo lo sguardo e il volto di Cristo drammatico e penetrante.
La Circoncisione di Marco Bello, che attesta nella firma di essere “discepolo di Giovanni Bellini”, dimostra come il modello belliniano di episodi di figure a mezzo busto quali appunto la Circoncisione o la Presentazione al tempio ebbero una tale successo, da essere replicate dagli allievi al fine di soddisfare la committenza privata.
La Madonna col Bambino, quattro santi e un donatore di Girolamo da Santacroce, allievo bergamasco del Bellini, riprende, in piccolo formato, con gusto quasi miniaturistico la pala eseguita nel 1507 dal maestro per la Chiesa di San Francesco della Vigna, rendendogli quasi un omaggio personale.
Mario Cavaglieri, Il Palazzo della Mercanzia a Bologna
Mario Cavaglieri (Rovigo, 1887 ‒ Pavie-sur-Gers, 1969) nasce nella Rovigo di fine Ottocento, da una ricca famiglia di origine ebraica. Si forma a Padova, seguendo le lezioni del pittore Giovanni Vianello. Dopo aver incontrato la sua musa Giulietta Catellini, tra il 1913 e il 1925 ottiene un notevole successo con i suoi quadri, cogliendo appieno i gusti del pubblico più raffinato e mondano dell’epoca. Cavaglieri raffigura un mondo sensuale e decadente, fatto di salotti borghesi, arredati con gusto e spesso animati da donne eleganti e ammalianti, il tutto reso con una tavolozza densa e sgargiante.
Dopo essersi ritirato nella bella villa di Peyloubére, nel Gers, Cavaglieri si dedica a dipingere vedute campestri e paesaggi, immerso in una dimensione di vita bucolica e tranquilla. La sua infanzia serena, trascorsa nella città di Rovigo, non viene mai dimenticata dal pittore tanto da far apporre anche negli ultimi anni della carriera la targhetta “Mario Cavaglieri da Rovigo” alle cornici dei suoi quadri.
Mazzoni, Cleopatra
L’obbiettivo dell’arte del Seicento è quello di stupire e suscitare ammirazione nel pubblico, attraverso la scelta di soggetti audaci che privilegiano l’edonismo e lo stupore rispetto alla morale.
Ne è un esempio il dipinto di Gerolamo Forabosco Giuseppe e la moglie di Putifarre, nel quale il soggetto biblico viene trattato con estrema sensualità, tanto nella resa delle figure, quanto nella stesura pittorica.
Lo stesso dicasi per le due opere di Sebastiano Mazzoni. La rappresentazione, tratta dal libro della Genesi, dell’ebrezza del vecchio Loth sedotto e ubriacato dalle figlie, è caratterizzata da una accentuazione degli aspetti scenografici e dall’uso di una prospettiva che sovverte i canoni rinascimentali. In Morte di Cleopatra, l’artista, accentua la drammaticità dell’evento attraverso i movimenti concitati delle ancelle e una pennellata sfrangiata e vaporosa.
Giuseppe Nogari, Ritratto di Giovanni Tommaso Minadois
Per l’Accademia dei Concordi il Settecento è secolo di rinascita. Ottenuta la protezione da parte di Venezia, i suoi rappresentanti possono rivolgersi al mondo dell’arte per onorare con dei ritratti le personalità che hanno dato lustro alla città, nonché gli stessi nobili protettori.
Il canonico Ludovico Campo ha l’incarico di contattare gli artisti e commissionare le opere: si orienta verso Venezia, così da affidarsi ai pittori più celebri del momento.
Bartolomeo Nazzari, Ritratto del doge Alvise Pisani
Giambattista Tiepolo esegue il Ritratto di Antonio Riccobono: all’apice della carriera, concepisce un ritratto di grande forza espressiva e privo di qualsiasi enfasi celebrativa. Nel 1745 Giambattista Piazzetta dipinge il Ritratto di san Gaetano da Thiene, protettore dell’Accademia. Mentre, del 1759 è il Giulio Contarini da Mula di Alessandro Longhi, capolavoro della ritrattistica veneta dell’epoca, sia per forza introspettiva che per la tecnica sfumata dei colori, simile ai pastelli di Rosalba Carriera.
Giovanni Biasin, Panorama di Venezia, diorama (dettaglio)
Un dipinto su carta delle dimensioni di 22 metri di lunghezza e 1,75 di altezza che raffigura una spettacolare veduta del bacino di San Marco, realizzato da Giovanni Biasin in occasione dell’Esposizione Universale di Venezia del 1887. In quel periodo le vedute panoramiche erano molto di moda e Biasin durante i suoi numerosi viaggi in Europa, specie in occasione di Esposizioni cui ebbe l’opportunità di partecipare, poté trarne ispirazione. Sembra che per realizzarla Biasin abbia utilizzato degli schizzi realizzati da una barca all’interno del bacino di San Marco per poi definire l’opera in laboratorio, dove unì mirabilmente le varie sezioni della veduta.