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Per la prima volta in Italia, Palazzo Roverella ospita una grande mostra dedicata a Rodney Smith, fotografo newyorkese tra i più iconici del XX secolo. Con oltre cento immagini, l’esposizione ripercorre l’intera carriera dell’autore, celebrando la sua raffinata combinazione di eleganza, rigore compositivo e humour surreale. Le sue fotografie evocano mondi sospesi tra realtà e sogno, in cui i riferimenti alla pittura di Magritte e al cinema di Hitchcock e Wes Anderson arricchiscono una poetica visiva unica, fatta di armonia formale e narrazione simbolica. Il percorso espositivo, suddiviso in sei sezioni conduce il visitatore lungo scenari sospesi, ricchi di grazia e mistero, accompagnandolo, attraverso un dialogo costruito su emozione e stupore, alla scoperta di un autore che ha saputo trasformare l’ordinario in straordinario.
Mi avventuro nel mondo per respirare la sua dubbia reputazione
e il suo umorismo, per vedere più chiaramente, per cercare finalità e conoscenza,
per aprirmi, per cogliere in modo esuberante e inesorabile la luce.
Immergersi nell’universo di Rodney Smith significa entrare in un mondo dove il tempo si ferma e la leggerezza diventa forma. Ogni scatto di Rodney Smith è un invito a varcare una soglia: quella tra il reale e l’immaginario, tra rigore e levità, tra concretezza e lirismo. Le sue immagini – mai ritoccate, illuminate solo dalla luce naturale – si muovono tra la nostalgia del bianco e nero e la scoperta dei cromatismi, restituendo una visione intima, ma allo stesso tempo universale. Rodney Smith osserva il reale per trasformarlo: gioca con la gravità, riflette sugli spazi, oltrepassa canoni simbolici e temporali. Allievo e seguace di grandi maestri come Walker Evans e Cartier-Bresson, ispirato dal cinema e dalla filosofia, ha fatto della fotografia il linguaggio per offrire un invito a fermarsi, osservare e lasciarsi trasportare, con meraviglia, nell’attimo sospeso dove tutto sembra possibile.
Rodney Smith, Edythe seated on Rooftop, New York, 2008
E mentre prende forma e si costruisce, come una cattedrale millenaria che tende verso il cielo, quest’opera si erge racchiudendo in sé tutte quelle suggestioni, declinandole con la più grande sensibilità. Precisione, equilibrio e armonia di forme, masse e volumi: ogni immagine di Rodney Smith sembra essere governata dalle leggi della matematica. In definitiva, sono tutte minuscole architetture al tempo stesso effimere ed eterne che rispondono all’idea ancestrale della proporzione divina, alla sezione aurea, all’equazione sacra alla base di molti capolavori della storia dell’arte e della natura, e che l’opera di Smith continua a declinare all’infinito.
Rodney Smith, Leaning House, Alberta, Canada, 2004
In questa doppia cornice del reale, in questo universo onirico e irreale, si sfidano le leggi della gravità e dell’attrazione terrestre. È Rodney Smith a ridefinirle, applicarle e governarle. Qui è mago e illusionista, come Georges Méliès che, agli albori della storia del cinema, seppe trasportare gli spettatori nel suo Viaggio nella luna (1902) attraverso un sagace espediente. Dal canto suo, Smith ci conduce nel paradiso dei suoi sogni, “in un mondo come avrebbe voluto che fosse”.
Rodney Smith, Woman with Hat between Hedges, Parc de Sceaux, France, 2004
Di fattura eterea ed estatica, le sue fotografie racchiudono in sé solo ciò che è originario, senza lasciare alcuna traccia, alcun indizio dei luoghi, del tempo o delle circostanze di ciò che Smith ci mostra. Nascondono piuttosto che rivelare, si ritraggono piuttosto che incontrare l’osservatore. In sostanza, nascondono sempre qualcosa piuttosto che restituire una realtà di cui, in fondo, non si conosce l’essenza. Paradossalmente, Smith semina il dubbio proprio attraverso la fotografia, strumento infallibile e invincibile di riproduzione della realtà. Le sue immagini sono come ellissi che sgranano la stoffa del sogno con cui sono intessute le nostre vite, come dice il mago Prospero nella Tempesta shakespeariana. Sembra che sfiorino l’epidermide delle cose senza mai attraversarle.
Rodney Smith, Don Jumping over Hay Roll No. 1, Monkton, Maryland, 1999
Si protendono sopra il grande vuoto cosmico o sopra il mondo degli esseri umani, e non sappiamo se stiano per spiccare il volo o precipitare. In entrambi i casi, sono corpi sensibili che cambiano spazio e, come Alice, sperimentano l’aria per attraversare il proprio specchio. Ed è allora che accedono – ma senza apparirvi per davvero – nel mondo della fantasmagoria, dell’immagine ingannevole, che incanta e ossessiona, che ci fa lasciare la presa sulla realtà e ci trasporta lontano, nel nostro immaginario infantile. I fantasmi di Smith non si dileguano all’alba: sono simulacri che ci guardano.
Rodney Smith, Caroline at the Top of Circular Staircase, Charleston, South Carolina, 2000
Tutto è accuratamente obliterato, come i passi che conducono a un luogo segreto e su cui non si può ritornare, poiché ogni traccia è stata coperta. Solo Smith sa come accedervi, giacché questo luogo gli appartiene. È stato lui, come un divino geometra, a disegnarne i contorni. In questo luogo, il sole si trova sempre a mezzogiorno, al suo solstizio: non c’è ombra proiettata ad attestare la realtà di ciò che si vede, poiché un oggetto senza ombra non esiste. Qui, il giorno non si ricongiunge alla notte, la notte non si riverserà più nel mattino successivo – tutto è cristallizzato come una scheggia di luce conficcata per sempre nella permanenza del mondo. Il tempo è un’invenzione degli esseri umani, l’eternità appartiene al divino. Ogni immagine di Smith ci riporta in un paradiso perduto dove la luce bianca regna sovrana.
Rodney Smith, Caroline silhouette no.1, Ashley Hall, South Carolina, 2000
Questi passaggi formano insieme una galleria sotterranea nella quale Smith ci precede e ci guida, ma sta a noi scegliere la destinazione di questo viaggio notturno. Immagini come frecce scoccate che attraversano i secoli, squarciano il cielo umano e si aprono su una notte ancestrale di tempi remoti. Se la pittura è “cosa mentale”, come diceva Leonardo da Vinci, Smith dimostra fino a che punto l’arte trae ispirazione dall’idea platonica che la precede.